Asteroid City ha tutto il meglio e il peggio di Wes Anderson

Asteroid City ha tutto il meglio e il peggio di Wes Anderson

Asteroid City ha tutto il meglio e il peggio di Wes Anderson


10 destinazioni Airbnb nello stile di Wes Anderson

Asteroid City è il titolo di un’opera teatrale, concepita (o almeno così ci spiega un Bryan Cranston in veste di annunciatore) dallo scrittore Conrad Earp (Edward Norton). Ambientata in una città immaginaria nel deserto, che strizza l’occhio alle varie Area 51 e a quella Los Alamos dove Robert Oppenheimer creò la rivoluzione del nucleare, Asteroid City è una sorta di ucronia nell’America del 1955. Lì è previsto il Junior Stargazer, un concorso di astronomia con ragazzini che si trovano schiacciati dentro un clima di eccezionalismo tra il grottesco e il ridicolo. Tra i concorrenti c’è anche Woodrow (Tony Revolori) che assieme alle tre sorelle è arrivato in macchina con il padre Augie Steenbeck (Jason Schwartzman), un fotografo di guerra. Questi non riesce a trovare il coraggio per dir loro che la madre è morta tre settimane prima. Il genero, il dispotico e aggressivo Stanley Zak (Tom Hanks) non l’ha mai tenuto in grande considerazione. Nella piccola cittadina troveremo tutta una serie di personaggi, tra i quali è impossibile non elencare il manager del motel (Steve Carell), la diva Midge Campbell (Scarlett Johansson), il Generale Gibson (Jeffrey Wright) e la Dott.ssa Hickenlooper (Tilda Swinton). L’incontro ravvicinato con un alieno, sarà il pretesto per Conrad per portare scompiglio nelle vite dei presenti ed in quel piccolo pezzo di deserto. Asteroid City è quindi un racconto nel racconto, armato dei soliti dialoghi iperattivi e pittoreschi a cui Anderson ci ha abituato, dove ovviamente domina l’idealizzazione dell’America che fu, quella alle prese con la Guerra Fredda, fantomatici incontri con intelligenze extraterrestri, nonché l’autorialità della Beat Generation che rivoluzionò teatro, cinema e narrativa americane.

La confessione intima di un autore passatista

Wes Anderson o lo si ama o lo si detesta, e lui stesso del resto si è sempre posto consapevole di questa cosa. Asteroid City contiene molti dei temi a lui cari, su tutti la pluralità di punti di vista e sensazioni, il rifiuto di una univocità riguardo all’interpretazione della realtà. Ma poi ecco anche il dubbio circa la purezza della creazione artistica, il rapporto tra autore ed opera, autore e vita reale. Sceneggiatura frizzante, con tanti omaggi alla pop culture di quegli anni, ha però il difetto di non dirci infine nulla di nuovo sulla sua semantica. Può quindi apparire come l’ennesima unione di comicità e malinconia, di metanarrazione egoriferita da parte di un autore che per molti ormai sta girando in tondo. La componente teen è gustosa, così come il voler operare una gradevolissima trasfigurazione tra il farsesco e il fiabesco. Coerente il ritorno dei suoi noti campi larghissimi, anche per valorizzare l’ambientazione, che però poi lascia spazio al dinamismo dell’intimità teatrale. Allo stesso modo, permane una rappresentazione del passato come legata alla fantasia, non alla realtà, con questo alieno (Jeff Goldblum, chissà quanto si è divertito) è chiaramente l’ennesimo omaggio ai comics, al cinema, alla televisione del passato. Allo stesso modo, come aveva fatto in Le Avventure acquatiche di Steve Zissou, Moonrise Kingdom e naturalmente I Tenenbaum, Anderson prende personaggi iconici, figure tipiche della narrativa americana, per decostruirle e assimee omaggiarle. Dive del cinema, militari, sceneggiatori, registi, cowboy, indiani… ed ecco fare capolino il tema della perdita e del lutto, quello della rinascita, del rimettersi in gioco, di una felicità che è nascosta nella capacità di essere empatici.

article image

I contenuti ispirati all’estetica unica del regista Proseguono a essere di tendenza, anche grazie all’intelligenza artificiale

L’unico problema è che tutto in Asteroid City arriva ad intermittenza. I primi due atti sono poco equilibrati, solo il terzo riesce ad arrivare completamente a segno. Rispetto al insufficiente The French Dispatch, qui vi è maggior genuinità e meno sottomissione della narrativa allo stile, non fosse altro per quel voler omaggiare anche la fantascienza che fu. Anderson si mette a nudo, circa il suo sentire conflittuale di autore in cerca di un’ispirazione, di un qualcosa di vero che non sia solo un gioco di prestigio per il pubblico amante del divismo facile e della presunzione che egli talvolta rende palpabile. Il suo passatismo, l’insistere con la certezza che una volta vi era più purezza (ma perché poi?), che si faceva della vera arte e non mera speculazione, è tanto plateale quanto in realtà addolcito da una vulnerabilità palese. Il tutto vi sembra troppo passatista? Stiamo parlando di Wes Anderson, ed in quanto totem degli hipster per lui questa è una condizione naturale. Detto questo, Asteroid City, mentre fa partire il carosello che poi coinvolge anche nomi come Margot Robbie, Willem Dafoe, Bob Balaban, Fisher Stevens, Maya Hwake, Rupert Friend, , Liev Schreiber, Adrien Brody, Matt Dillon (a cui Anderson insiste nel far fare le comparse) si pone anche come riflessione sulla pandemia, su come ha condizionato il cinema. Difficile dire se questo possa essere l’inizio di una nuova fase per il regista statunitense, ma di certo è un film che merita la vostra attenzione. Potrebbe anche servire per riappacificarlo con quella parte del pubblico che, bene o male, non l’ha mai compreso, non l’ha mai apprezzato.



Leggi tutto su www.wired.it
di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-09-28 08:01:59 ,

Previous Una follia, mai avrei consentito si celebrasse

Leave Your Comment